Myanmar

Lago Inle, un mondo sospeso sull’acqua

Lago Inle, un mondo sospeso sull’acqua 960 640 Sonia Sgarella

Esiste un mondo che vive sospeso sull’acqua e che di questa ne è complice, buon amico e amante…

Palafitte sul Lago Inle

Ricordo chiaramente quel brivido di emozione quando per la prima volta ho attraversato il Lago Inle, in Myanmar, un’immensa distesa di acqua placida dello stesso colore del cielo, specchio del carattere pacifico ed equilibrato di quella popolazione che ci vive a stretto, strettissimo contatto. Un animo talmente equilibrato da riflettersi nei movimenti dei loro corpi e permettergli di condurre quelle lunghe canoe stando in piedi su una gamba  e remando con l’altra. E’ questa tecnica singolare infatti che distingue  e caratterizza gli abitanti, ma soprattutto i pescatori della regione, le cui sagome si spostano leggiadre sull’acqua simili a quelle di eleganti fenicotteri.

Lago Inle

La sensazione di grandezza che si vive non corrisponde però alle effettive dimensioni del lago che misura soltanto 11 km di larghezza per 22 di lunghezza. Questo fattore può permettere al viaggiatore di raggiungere diverse località sulle sue sponde tenendo sempre come base il piccolo e vivace villaggio di Nyangshwe (situato sul canale principale che sfocia sulla sponda settentrionale del lago).

Affittando le barche a motore, simili alle long-tail thailandesi, e avendo a disposizione mezza giornata, è possibile raggiungere i pittoreschi mercati rurali che, a rotazione, riuniscono le genti delle principali tribù birmane che lì si recano nella speranza di vendere i prodotti delle loro terre, situate a volte anche ad una notte di cammino di distanza.

Lago Inle

Convincendovi del fatto che i mercati più famosi siano anche i più turistici, cambiate direzione e dirigetevi verso quelli meno pubblicizzati. L’escursione prevede una forzata “levataccia” verso le 5 del mattino, quando Nyangshwe ancora dorme, per riuscire a raggiungere i mercati quando i banchi sono ancora colmi di frutta e verdura. Ricco, coloratissimo e fuori dal circuito turistico è quello di Nampan, sulla sponda orientale del lago a circa un’ora di navigazione da Nyangshwe.

Non dimenticatevi ciò che di più caldo abbiate in valigia perché le coperte fornitevi dai barcaioli non basteranno a proteggervi dal freddo umido del mattino che può tranquillamente raggiungere i 5°C!

Il consiglio è quello, se avete  disposizione un’intera giornata, di spingervi il più a sud possibile per raggiungere il Lago Sankar, collegato al Lago Inle da un lungo canale che si snoda sinuoso tra straordinari villaggi costruiti su palafitte e orti galleggianti di ogni sorta. Un’esperienza unica e indimenticabile alla scoperta di quel mondo fiabesco  che vive sospeso sull’acqua.

Lago Inle

Lago Inle Lago Inle

L’omonimo villaggio che raggiungerete, Sankar appunto, custodisce preziosi resti di templi (non precisamente datati), apparentemente commissionati da un antico sovrano Shan che lì regnava e risiedeva.

Lago Inle

Sulla riva opposta una splendida  collezione di “zedi” (nome locale  dello stupa, monumento per antonomasia del culto buddhista) allineati in file parallele e simmetriche. Un luogo che vede scarsissima affluenza di turisti  e già, solo per questo motivo, degno di nota. Certo per raggiungere questi angoli di mondo si deve essere disposti a rimanere seduti per circa 3 ore (solo andata) sulle colorate seggioline di legno di una canoa a motore super vibrante!

E poi ancora a Nyangshwe è possibile affittare delle biciclette sgangherate (a volte sono talmente dure che si ha la sensazione di pedalare con il freno a mano tirato!) e seguire i percorsi che si diramano tutto intorno al lago; un modo questo per assaporare lentamente la vera essenza rurale della Birmania, “diversa da ogni altro paese da voi conosciuto” (Rudyard Kipling)

 

 

La Birmania che ho visto

La Birmania che ho visto 2000 1333 Sonia Sgarella

Era il 2009 quando da Sop Ruak, in Thailandia, guardavo al confine con la Birmania e provavo ad immaginarla, ma non ci riuscivo…

Mi trovavo nel cuore del cosiddetto Triangolo d’Oro, storico protagonista nella produzione mondiale di oppio e teatro del commercio estremamente remunerativo di stupefacenti. Oggi, luogo assediato dai turisti. Si tratta della tripla frontiera tra Thailandia, Birmania e Laos. In quest’ultimo c’ero appena stata e avevo fatto la conoscenza di una pace inaspettata. Il Laos, terra di monaci e monasteri, di grandi fiumi e di montagne, di villaggi rurali e di vita agricola. Lo vedevo li, oltre il fiume Mekong e lo salutavo dandogli appuntamento a chissà quando ma nella sincera convinzione che un quando, in futuro, ci sarebbe certamente stato. E poi di nuovo, mi voltavo verso la Birmania ma niente, continuavo a non immaginarla…

Vedevo solo alberi, una foresta rigogliosa ed interminabile. Non avevo mai letto niente a riguardo, potevo solo fare riferimento alle notizie di guerriglia armata contro il regime militare che ogni tanto mi giungevano all’orecchio; potevo solo pensare ai ragazzini birmani che, sulle spiagge della Thailandia, si offrivano di farti mille commissioni pur di raccimolare qualche Bath. Lo credevo un paese impenetrabile, forse pericoloso; a dir la verità, non ci avevo mai pensato. Certo non mi sarei mai aspettata, a soli quattro anni di distanza, di camminare per le sue strade e di percorrerne i sentieri nè mai avrei creduto di incontrare la Birmania che oggi ricordo con tanta ammirazione.

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Un paese che ha sofferto le ingiurie di una dittatura militare tra le più longeve e brutali al mondo. Un esercito di oltre 400 mila soldati “burattini” nelle mani di generali “burattinai” che ripetutamente hanno ordinato l’arresto e l’uccisione di centinai di cittadini birmani, monaci e laici, i quali hanno rischiato la vita per il diritto di decidere il proprio destino. Un paese che sicuramente soffre ancora perché vittima degli intrighi politici di un governo che si dice in via di democratizzazione ma che in verità, e sono in molti a sostenerlo, continua a tramare alle spalle del suo stesso popolo. Un paese che tuttavia soffre con un gran sorriso perché in fondo sa che la verità e l’amore trionferanno, così come è stato sempre nel corso di tutta la storia.

“Arriverà il giorno in cui tiranni e assassini, che per un certo periodo sono apparsi invincibili, cadranno” – disse il Mahatma Gandhi e sulla scia di questo pensiero la Birmania che io ho visto non dispera. Ho incontrato un paese gioioso, gente vitale, genuina, che speranzosa convive con la sua passata disperazione: due concetti ben diversi.

Chi viaggia per le strade del Myanmar, ne percorre i suoi sentieri, non incontra né miseria né degrado ma gente dignitosa che lavora per ricostruire il proprio futuro perché sa che non esiste alcun destino imposto ma solo quello che noi stessi ci guadagniamo con le azioni. Gente che canta, gente che si contorce dalle risate guardando cabaret e soap opera in tv, gente che è fiera del proprio paese e di quella “Signora” che ha fatto tanto per il suo popolo, guidando una delle rivoluzioni non violente più ammirevoli dei tempi moderni.

Aung San Suu Kyi, colei che impersona i quattro ingredienti fondamentali – secondo il buddhismo – per il successo e la vittoria: chanda, “desiderio o volontà”, citta, “l’attegiamento giusto”, viryia, “la perseveranza” e panna, “la saggezza”. Certo non è tutto lusso e magnificenza quello che si vede ma chi l’ha detto che ci sia bisogno di questo per  poter vivere serenamente? In Myanmar è un concetto molto più semplice che incomincia con il rispetto dei diritti umani…

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