India

L’incanto di Orchha

L’incanto di Orchha 1024 684 Sonia Sgarella

Sono arrivata ad Orchha in un pomeriggio di primavera, quando ancora la campagna del Madhya Pradesh è punteggiata dai meravigliosi fiori arancioni degli alberi di Palash; sono arrivata ad Orchha perché mi avevano detto che mi sarebbe piaciuta ma mai avrei pensato di rimanerne così affascinata.

Albero di Palash - Orchha

Un piccolo villaggio dove dimenticarsi per qualche giorno dei mezzi di trasporto, non perché non ve ne siano ma perché non ne avrete bisogno. Tutto ad Orchha è facilmente raggiungibile a piedi: il fiume, i templi, i palazzi e i cenotafi; ad Orchha vedrete l’incanto dei tempi passati rivivere nella roccia dei suoi monumenti i quali raccontano una storia, quella dei sovrani della dinastia Bundela e delle loro regine.

Cominciate presto al mattino, esattamente alle 8 (o alle 9 se da ottobre a febbraio), quando all’interno del Ram Raja Temple si riuniscono i devoti per la puja al dio Rama. Racconta la leggenda che questo splendido edificio piastrellato con marmo bianco venne commissionato nel XVI secolo dal sovrano Madhukar Shah come palazzo per la sua regina, Rani Ganesh. Fu proprio lei, anche chiamata Kamla Devi, che di ritorno da un viaggio ad Ayodhya portò con sé l’immagine sacra del grande dio la quale, una volta appoggiata all’interno del palazzo, non poté più esserne rimossa. Il palazzo venne quindi trasformato in un tempio che costituisce oggi un importante luogo di pellegrinaggio per i devoti di Rama, settima incarnazione di Vishnu, venerato qui anche in qualità di re (raja) e insignito quindi del turbante reale. Accanto a lui la consorte Sita come regina e il fedele fratello Lakshman vestito da principe.

Rama Raja Temple - Orchha Rama Raja Temple - Orchha

A parte il Ram Raja Temple che, in quanto luogo di culto attivo, non è a pagamento, tutto il resto, ad Orchha, lo è. Il biglietto cumulativo per la visita ai monumenti può essere acquistato solo all’ingresso della cittadella, oltre il ponte Bir Singh, ad un costo di 250 rupie più 25 per l’utilizzo della macchina fotografica. Il biglietto ha la validità di un solo giorno per cui preparatevi all’esplorazione con una colazione abbondante e cominciate subito con il complesso dei palazzi reali, quando ancora le comitive di gruppi organizzati non hanno raggiunto la cittadina.

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RAJA MAHAL PALACE

Costruito sulla cima di una collinetta, il solido e squadrato palazzo reale, il primo ad essere edificato in posizione strategica sull’isola che sorge alla confluenza tra i fiumi Betwa e Jamni, costituisce un’ottima introduzione allo stile architettonico dei sovrani Bundela: grandi cortili su cui si affacciano i balconi intarsiati degli appartamenti reali e una serie di passerelle ad incastro che si innalzano fino a permettere l’accesso ai livelli più alti culminanti con meravigliosi padiglioni a cupola e torrette.

Raja Mahal - Orchha Raja Mahal - Orchha

Nonostante la struttura risulti dall’esterno estremamente sobria e priva di particolari decorazioni, basta soffermarsi ad ammirare le stanze interne e la profusione delle magnifiche pitture intonacate sulle pareti e sui soffitti, per immaginare l’opulenza che doveva trasmettere questo luogo al tempo di Madhukar Shah (1554-1592 d.c.) che qui visse insieme alle sue “favorite”. Alcuni di questi fregi, soprattutto quelli riparati dalla luce del sole, si trovano ancora ancora oggi in perfetto stato di conservazione permettendo così di riconoscere chiaramente immagini che raccontano delle numerose incarnazioni di Vishu, delle imprese di Rama e Krishna, nonché scene di caccia e momenti di festa.

Raja Mahal Paintings - Orchha Raja Mahal Paintings - Orchha

E’ inutile dirvi quanto dai livelli più alti la vista sia magnifica per cui altro non vi resta da fare che munirvi di tutto lo spirito d’esplorazione di cui siete dotati e perdervi tra i mille passaggi, divertendovi a scovare gli angoli più nascosti di questo intricato capolavoro.

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JEHANGIR MAHAL PALACE

Se l’ingresso al Raja Mahal mi aveva stupito, il primo impatto con il Jehangir Mahal mi ha lasciato letteralmente senza parole! La stessa reazione dovette evidentemente averla anche l’architetto britannico Edwin Lutyens, incaricato di progettare l’impianto urbanistico di New Delhi e che si dice aver preso ispirazione proprio da qui. Commissionato nel 1605 da Bir Singh Deo, figlio di Madhukar Shah, nonché “il più grande sovrano di Orchha”, il Jehangir Mahal venne concepito come biglietto di benvenuto per la visita a corte dell’imperatore Mughal che qui si recò in un’unica occasione. Sicuramente il più ammirato, il palazzo appare molto più ricco di decorazioni rispetto al Raja Mahal, a partire dal grandioso portale con elefanti che consente l’accesso al cortile principale.

Jehangir Mahal -Orchha

Motivi geometrici e floreali composti con piastrelle di ceramica color turchese ne decorano ancora le facciate mentre all’interno una profusione di decorazioni lignee ne abbellisce i balconi e le terrazze, sovrastati da quelle cupole a cipolla che sono caratteristica peculiare dell’architettura indo-islamica. L’insieme di tutti questi elementi esprime senz’altro un senso di straordinaria ricchezza.

Jehangir Mahal - Orchha Jehangir Mahal- Orchha Jehangir Mahal - Orchha

La vista sulla campagna sconfinata e sugli altri monumenti di Orchha, anche in questo caso, vale senza dubbio la salita ai piani più alti. Da quassù inoltre vi farete un’idea più chiara dei prossimi passi da percorrere.

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RAI PRAVEEN MAHAL

Proseguite la visita passando accanto al Shyam Daua Ki Kothi e al Rasaldar Ki Kothi, alle stalle dei cammelli e degli elefanti, per arrivare quindi al palazzo di Rai Praveen, la leggendaria concubina di Raja Indramani (1672-75) che fu vassallo dell’imperatore Mughal Aurangzeb. Secondo i racconti Rai Praveen fu una bellissima danzatrice, cantante, musicista e poetessa che risiedette in questo palazzo dove all’interno si conservano ancora magnifici dipinti. Bellissimi gli scorci sul Jehangir Mahal.

Rai Praveen Mahal (2) Rai Praveen Mahal - Orchha

Da qui è possibile continuare verso una serie di altri piccoli monumenti che troverete seguendo il sentiero di campagna, oltrepassata la porta Shahi Darwaja. Tra questi il Teen Dasiyon Ka Mahal, ovvero il “palazzo delle tre inservienti” e il piccolo Shiv Temple.

Teen Dasiyon Ka Mahal - Orchha

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CHATTURBHUJ TEMPLE

Forse l’edificio più appariscente per la verticalità delle sue forme e ben visibile da ogni angolo della cittadina. Costruito su una grandissima piattaforma di pietra e raggiungibile attraverso un’ampia scalinata, il tempio venne edificato per custodire l’immagine sacra di Rama trasportata ad Orchha dalla Regina Ganesha e che invece non fu più possibile spostare dal Ram Raja Temple, dove si trova collocata ancora tutt’oggi.

Chatturbhuj Temple - Orchha

Chatturbhuj Temple - Orchha

Unico nelle sue forme che vennero studiate da diversi architetti e i quali ne misero in rilievo le particolarità: pianta cruciforme come quella di una chiesa cristiana, assenza di fregi e ornamenti come l’interno di una moschea, presenza di una cella sacra e della sala per le preghiere come nei templi hindu. L’unica interpretazione logica sarebbe che la costruzione venne commissionata a degli architetti musulmani i quali inserirono caratteristiche tipiche dell’arte islamica in un tempio che venne ideato per ospitare una divinità indiana, dedicato alla figura di Vishnu con quattro braccia. Munitevi di una torcia per risalire la stretta scalinata che vi porterà all’altezza delle guglie, fino alla terrazza panoramica da cui vi garantirete una visuale a 360° su tutta Orchha.

Chatturbhuj Temple - Orchha

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LAKSHMINARAYAN TEMPLE

Dopo aver ripreso le forze con una meritata pausa pranzo, continuate la visita verso il Lakhsminarayan Temple che custodisce le pitture più raffinate e meglio conservate di tutta Orchha. Costruito nel 1622 e commissionato dallo stesso Bir Singh, il tempio, che nella struttura ricorda più l’aspetto di una fortezza è famoso per la particolarità delle pitture, le quali raccontano storie sia leggendarie che secolari.

Lakshminarayan Temple (3) Lakshminarayan Temple (4) Lakshminarayan Temple (6) Lakshminarayan Temple (7)

Episodi dei poemi epici, miti riguardanti varie divinità ma anche scene di battaglia con protagonisti i membri dell’esercito britannico, adornano le pareti e i soffitti dei corridoi interni di questo tempio, trasformando il luogo in un interessantissimo e curioso concentrato di opere artistiche dove perdersi per almeno un’ora, lasciando così trascorrere le ore più calde del giorno. Tornando verso il centro godetevi la magnifica vista panoramica.

Lakshminarayan Temple (9)

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BUNDELA CHHATRIS

Dirigetevi ora verso l’ultima meraviglia di Orchha, anch’essa inclusa nel biglietto cumulativo d’ingresso ai monumenti: sono i cenotafi dei membri della dinastia Bundela che si ergono fieri lungo la riva destra del fiume Betwa. Tra questi il più imponente  è quello di Bir Singh Deo ma ve ne sono ben altri quindici tra cui potrete intrattenervi fino all’ora di chiusura, aspettando il tramonto.

Centoafi Orchha

Un giorno ad Orchha comunque non basta, la cittadina deve essere vissuta con calma, bisogna avere il tempo di perdersi tra le casette colorate e tra i suoi bazar. Se siete quindi riusciti ad ultimare la visita ai suoi monumenti in un solo giorno, tenetevene almeno un altro per passeggiare tranquilli tra le sue vie, parlare con gli abitanti (i quali vorranno tutti invitarvi a casa loro) e magari, perché no, se il livello dell’acqua lo permette, godervi il fiume facendo water rafting.

Se state cercando una sistemazione super budget ma dignitosa (intendo con tanto di acqua bollente e lenzuola pulite!) andate alla Temple View Guest House, a due passi dal Ram Raja Temple. Io ho pagato 3 euro a notte! 🙂

Tra arte e tantra: la seducente perfezione dei templi di Khajuraho

Tra arte e tantra: la seducente perfezione dei templi di Khajuraho 1024 684 Sonia Sgarella

Mi è stato insegnato all’università che per raggiungere i vertici di perfezione nella scultura e nell’architettura templare dell’India del Nord, bisogna mettersi in cammino verso il piccolo villaggio di Khajuraho, nello stato del Madhya Pradesh. Capite dunque perché – rispondo a quanti me lo hanno chiesto – io non ci fossi mai stata prima? I templi di Khajuraho costituivano per me l’apice di un percorso di studi, una meta da raggiungere ben preparata, la “ciliegina sulla torta” che volutamente ho lasciato come una delle ultime tappe per un ennesimo viaggio in India.

I templi dell’India, come già vi raccontavo in altre occasioni, si dividono in tre categorie principali, nagara, vesara e dravida, ognuna delle quali con le sue peculiarità architettoniche più o meno marcate e al cui interno ricadono le varianti locali di ciascuna: negli Shilpashastra, antichi trattati di architettura e scultura, il tempio classico dell’India del Nord, viene definito con il termine nagara (“cittadino”) che vede come elemento caratteristico e marcatamente visibile, la presenza di una guglia torreggiante (shikhara) a sovrastare la cella custode dell’immagine sacra. Khajuraho è il luogo che conserva le forme più compiute e più eleganti in assoluto di tutti i templi nagara sopravvissuti fino ai giorni nostri!

Kandariya Mahadeo Temple - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Ancora oggi un piccolo villaggio immerso nella meravigliosa campagna dello stato del Madhya Pradesh, Khajuraho, l’antica Khajjuravahaka (“quella che ha tanti alberi di palma”), fu un tempo la capitale del regno dei Chandella, i quali si affacciarono alla storia verso l’inizio del X secolo, prosperando nella regione del Bundelkhand (oggi divisa tra Madhya e Uttar Pradesh) fino all’inizio delle conquiste islamiche, intorno al 1200. Il mecenatismo di questi sovrani, per i quali la costruzione di un tempio era il mezzo privilegiato per affermare, legittimare e glorificare il proprio potere, li portò a commissionare in questa zona oltre 80 templi, di cui se ne conservano intatti ancora una trentina, uno più bello dell’altro!

Simbolo della dinastia Chandella - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Simbolo della dinastia Chandella – Gruppo Occidentale – Khajuraho

Compatti e slanciati verso il cielo, i templi di Khajuraho si distinguono per l’enfasi sulla dimensione della verticalità che viene data sia dalla presenza dello svettante shikhara sia dall’alto basamento su cui poggiano e sul quale il visitatore deve salire per poter compiere la circumambulazione rituale (pradakshina) prima di accedere all’interno, verso la cella sacra. Si racconta che originariamente i templi di Khajuraho fossero come isole, circondati dalle acque di un lago ornamentale di cui il famoso viaggiatore marocchino Ibn Battuta, che arrivò in India nel XIV secolo, ne racconta la grandezza. Oggi purtroppo di quel lago non vi è più traccia ma, in compenso, i templi – così come è tipico di tutti i monumenti protetti dall’Unesco – si trovano immersi nel verde di curatissimi giardini dove è piacevole passeggiare.

Kandariya Mahadeo Temple - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Se la perfezione delle forme architettoniche ha garantito ai templi di Khajuraho un posto d’onore nella storia dell’arte dell’India, è tuttavia la straordinaria ricchezza della decorazione scultorea a rendergli il titolo di capolavoro: la sensualità e la morbidezza delle forme, l’eleganza dei dettagli ma sopratutto il tema erotico di alcune immagini sono ciò che porta i templi ad eccellere nel loro genere, ciò che stupisce il visitatore e che ha reso Khajuraho una delle mete turistiche più frequentate di tutto il Subcontinente, il luogo dove divinità dell’induismo, provocanti “bellezze celesti” (surasundari) e animali dalle forme fantasiose, condividono le pareti esterne del tempio con uomini e donne in esplicito atteggiamento erotico, segno che al tempo il sesso veniva considerato come un atto da non trascurare, anzi, come un arte da coltivare e valorizzare!

Erotic Khajuraho

Scuture erotiche Khajuraho Scuture erotiche Khajuraho

Si è dibattuto a lungo sul significato che volessero trasmettere i committenti con questa profusione di rilievi raffiguranti amanti in ogni genere di atto sessuale, scene di gruppo, a volte addirittura con l’inclusione di animali. La domanda che sorge spontanea è: come possono queste immagini conciliarsi con la sacralità dell’edificio religioso su cui si trovano? Per poter dare una risposta a questa domanda è necessario elencare ed approfondire alcuni punti fondamentali:

Innanzitutto, nonostante la questione sessuale in India sembri essere un tabù più oggi che nell’antichità, questo non significa che l’induismo sia una religione tutta improntata all’ascetismo né tanto meno che preveda la castità per i suoi devoti; al contrario, all’amore umano in tutte le sue sfaccettature viene riservato un ruolo molto importante nella dottrina, la quale vuole infatti che ogni uomo debba perseguire tre scopi nella vita (trivarga), di cui kama, parola che significa sia “amore” che “desiderio sessuale”, è uno di essi. Non solo: come agli altri scopi (artha, il benessere economico e dharma, la legge sacra), anche al kama è dedicata una vasta letteratura, che vede nel celebre Kamasutra il suo massimo rappresentante. Composto da Vatsyayana attorno al III secolo d.c., il Kamasutra vuole essere un manuale al raggiungimento della felicità amorosa, non soltanto legata al desiderio sessuale – cosa che in tanti pensano erroneamente – ma piuttosto sensuale, ovvero collegato anche alla musica, al buon cibo, ai profumi e così via, in un contesto sociale colto ed elegante.

Kamasutra - Khajuraho

L’immagine delle donna e la sua associazione a fertilità e abbondanza è inoltre considerata fonte di buon auspicio e per questo, la sua rappresentazione sui templi, è resa necessaria. Si ritrova scritto nei testi: “Come una casa senza una moglie, un monumento senza una figura femminile sarà di qualità inferiore e non porterà ad alcun frutto”. I templi di Khajuraho contano definitivamente più sculture di immagini femminili che di divinità: alte, snelle, provocanti e maliziose ma mai volgari, dalle forme sinuose e abbondanti, con gli occhi allungati, i gioielli vistosi e le più varie acconciature, le “bellezze celesti” di Khajuraho, con le loro posture sensuali, trasmettono calore ed esprimono vitalità, quasi fossero reali. Così come la donna è simbolo di fertilità, allo stesso modo dunque, si ritiene lo sia anche la coppia (mithuna), considerata fonte di buon auspicio. A provarlo il fatto che immagini di coppie, si ritrovano già in contesto buddhista, risalenti al I secolo d.c.

Surasundari - Khajuraho

Surasundari - Khajuraho

Mithuna - Khajuraho

La sessualità umana, nel corso dei secoli, comincia ad essere valorizzata come uno strumento volto al superamento della dualità dei sessi e al ricongiungimento di questi  nell’Unità Assoluta, ovvero come fonte di risveglio spirituale e mezzo per il raggiungimento della liberazione, cosa che trova ampio supporto nella corrente salvifica e ritualistica definita col nome di tantrismo, affermatasi nel corso del I millennio sia in ambito induista che in ambito buddhista. Secondo questa concezione filosofica l’unione sessuale della coppia umana – intesa letteralmente o metaforicamente a seconda delle sette – altro non è che uno strumento evolutivo della coscienza, una forma di meditazione dove il corpo possa servire da mezzo salvifico. Durante il X secolo, nel periodo di inizio della costruzione dei templi di Khajuraho, sembrerebbe che la setta tantrica dei Kaula, devoti di Shiva, fosse all’apice della sua popolarità e che gli stessi sovrani Chandella ne fossero patroni. I maestri Kaula sostenevano la pratica di rituali esoterici con l’ausilio delle cosiddette “cinque cose che cominciano per emme” (panchamakara), ovvero matsya, il pesce, mamsa, la carne, madya, l’alcol, mudra, i cereali abbrustoliti e ovviamente maithuna, l’unione sessuale, tutti elementi considerati altamente contaminati in ambito ortodosso brahmanico.

Kamasutra - Khajuraho

Kamasutra

E’ comunque importante notare che le immagini erotiche non coinvolgono mai figure divine e sono rappresentate solo all’esterno del tempio il quale, con la sua struttura e il programma scultoreo che lo adorna, si propone di essere un’immagina complessiva del mondo, se non addirittura dell’universo al cui centro, secondo la tradizionale cosmologia hindu, si innalza la montagna sacra del Monte Meru, rappresentata in questo caso dallo shikara torreggiante. All’esterno del tempio viene dunque rappresentata la vita di tutti i giorni ed è proprio qui che gli scultori si sbizzarrirono nella rappresentazione dell’immagine femminile intenta nelle più svariate attività: c’è quella che si specchia, quella che si trucca, quella che si toglie le spine dal piede, che si pettina, che scrive, etc etc. e tra queste le immagini erotiche, forse concepite per diversi livelli di comprensione: uno più popolare, riconducibile alla teoria del trivarga e uno più esoterico, riconducibile invece alla visione tantrica. Dall’esterno manifesto all’interno non-manifesto, l’ingresso al tempio vuole simboleggiare la ricongiunzione con il divino che è lo scopo di tutti i percorsi spirituali.

Surasundari - Khajuraho

Surasundari - Khajuraho

Surasundari

Non vi è dunque una risposta univoca né di facile interpretazione al perché della presenza di tali sculture: ciò che è sicuro è che non vi è nulla di osceno in esse e che, se l’effetto voluto era quello di portare alla riflessione sull’importanza del tema amore/sesso, i templi di Khajuraho ci riescono alla perfezione!

Le immagini erotiche comunque non sono presenti su tutti i templi bensì solo su quelli appartenenti al cosiddetto “gruppo occidentale”. I templi di Khajuraho si dividono infatti in tre gruppi, occidentale, orientale e sud che assolutamente valgono tutti la pena di essere visitati, ancor meglio se durante le prime ore del mattino quando la luce del sole ne illumina le pareti e le celle sacre e quando ancora non sono stati invasi dalle orde dei gruppi organizzati.

Lakshman Temple - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Lakshman Temple – Gruppo Occidentale – Khajuraho

Shiva lingam - Interno del Khandariya Mahadeo - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Shiva lingam – Interno del Khandariya Mahadeo – Gruppo Occidentale – Khajuraho

Interno del Lakshman Temple - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Interno del Lakshman Temple – Gruppo Occidentale – Khajuraho

Sforzatevi dunque di svegliarvi all’alba per cominciare a godervi le meraviglie di Khajuraho e, perchè no, partite pure dal più antico tra tutti i templi, lo Chausath Yogini, prova tangibile del fatto che la zona fosse una tra le aree di diffusione del culto tantrico.

Chausath Yogini Temple - Khajuraho Chausath Yogini Temple - Khajuraho

Godetevi poi la tranquillità dei gruppi sud e orientale, visitate il Chaturbhuj, il Duladeo, il Parsvanath e il Vamana Temple; concludete quindi con quelli del gruppo occidentale, qui dove l’arte si fa sensuale e perfetta, qui dove i templi raccontano una storia, quella di una grande dinastia ma soprattutto quella di tanti abilissimi scultori i cui nomi non è dato ricordare ma il cui spirito sopravvive ancora nella roccia.

Kandariya Mahadeo Temple - Gruppo Occidentale - Khajuraho

Kandariya Mahadeo Temple – Gruppo Occidentale – Khajuraho

Profumi e colori nei mercati dell’Asia

Profumi e colori nei mercati dell’Asia 1024 682 Sonia Sgarella

Che cosa c’è di più bello, autentico e rivelatore che perdersi tra le bancarelle dei mercati del mondo? Dai più grandi ai più colorati, dai più strani ai più profumati, i mercati sono molto di più che semplici centri di scambio: sono i punti d’incontro di genti e culture, dove riuscire a cogliere l’essenza di un paese sapendo di che cosa si nutre la sua popolazione, che cosa cerca e cosa produce.

Nei mercati come in nessun altro luogo, entrerete in contatto con le più varie tradizioni locali, culinarie e non, in un tripudio di abbondanza e folklore che vi sorprenderà, portandovi sempre alla ricerca di situazioni simili ovunque andiate! Spostiamoci dunque nei meravigliosi mercati dell’Asia…

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1.Shivaji Market, Pune, India

Arrivati a Pune, una delle città più moderne dell’India intera, nessuno si aspetterebbe mai di trovare un mercato tanto tradizionale dove i colori, come sempre, la fanno da padrone. Lo Shivaji Market, il cui nome ci ricorda quello dell’eroe storico più famoso del Maharasthtra, è il posto ideale dove perdersi tra mille foto e scoprire tutti gli ingredienti base della cucina indiana.

Shivaji Market 1 - Pune

Shivaji Market 2 - Pune

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2.Mercato di Bandarawela, Sri Lanka

In questa cittadina apparentemente anonima della Hill Country ma situata a soli 13 km da Ella, ogni domenica mattina si svolge un vivace e coloratissimo mercato, da non perdere!Mercato domenicale di BandarawelaMercato domenicale di BandarawelaMercato domenicale di Bandarawela

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3.Mercati del Lago Inle, Myanmar

Dal piccolo e vivace villaggio di Nyangshwe, situato sul canale principale che sfocia sulla sponda settentrionale del lago, affittando una barca a motore, è possibile raggiungere i pittoreschi mercati rurali che, a rotazione, riuniscono le genti delle principali tribù birmane che lì si recano nella speranza di vendere i prodotti delle loro terre, situate a volte anche ad una notte di cammino di distanza. Convincendovi del fatto che i mercati più famosi siano anche i più turistici, cambiate direzione e dirigetevi verso quelli meno pubblicizzati. L’escursione prevede una forzata “levataccia” verso le 5 del mattino, quando Nyangshwe ancora dorme, per riuscire a raggiungere i mercati quando i banchi sono ancora colmi di frutta e verdura. Ricco, coloratissimo e fuori dal circuito turistico è quello di Nampan, sulla sponda orientale del lago a circa un’ora di navigazione da Nyangshwe.

Mercato di NampanMercato di Nampan

Mercato di Nampan

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4.Chandni Chowk, Delhi, India

Se cercate la confusione estrema siete nel posto giusto e qui troverete anche l’introvabile! Zap Mangusta nel suo recente libro “Le infradito del Buddha” lo descrive nel modo più appropriato, dicendo: “infilarsi tra i suoi caruggi è una specie di esperienza mistica per tutti i sensi, in particolare per quello dell’orientamento!”.

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5.Mercati galleggianti, Vietnam

Ogni giorno sulle acque inquinate dei canali navigabili del delta del fiume Mekong si svolgono decine di mercati, tutti rigorosamente galleggianti, su barche o canoe. Da quello di Cai Rang a quello di Cai Be, non dovrete fare altro che rimanere a guardare, comodamente seduti sulla vostra imbarcazione. Il mattino presto, prima che cominci a fare caldo, è il momento migliore per cominciare la vostra escursione. Mercati simili si trovano anche in Thailandia, a Damnoen Saduak, nei pressi di Bangkok.

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6.Mercato domenicale di Chiang Mai, Thailandia

Il luogo dove trovare davvero di tutto, dagli articoli di artigianato al cibo tipico, ai caratteristici Foot Massage a cui non dovreste assolutamente rinunciare. Tirate fuori il portafoglio e preparatevi a contrattare!

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7.Mercato all’ingrosso di Dambulla, Sri Lanka

Anche se non avete intenzione di acquistare interi caschi di banane, questo grande mercato all’ingrosso offre un affascinante spaccato dell’ampia produzione ortofrutticola dello Sri Lanka.

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8.Devaraja Market di Mysore, India

Esempio perfetto di un mercato tradizionale indiano, carico di colori sgargianti, profumi inebrianti, chiasso e confusione. Percorretelo da cima a fondo senza tralasciare le vie adiacenti, assaporatene la bellezza, la vivacità e con questo lasciatevi trasportare indietro nella storia!

Leggi anche l’articolo Mysore e dintorni: luoghi e culture

Devaraja Market

Devaraja Market

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 9.Mercato del bestiame di Kashgar, Cina

Appuntamento imperdibile che vede riunisrsi gli allevatori Uiguri di questa provincia dello Xīnjiāng per contrattare diversi capi di bestiame, tra cui pecore, vacche e cammelli. Entro mezzogiorno venditori e acquirenti saranno tutti arrivati dunque fate in modo di essere presenti, facendo attenzione a dove mettete i piedi ma soprattutto al movimento di camion e carretti carichi di animali che difficilmente vi daranno la precedenza!

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10.Mercati dei fiori, India

A Calcutta, a Mumbai o in qualsiasi altra città dell’India, i mercati dei fiori sono sempre un meraviglioso tripudio di colori!

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Bodhgaya: a colloquio col Buddha nell’India moderna

Bodhgaya: a colloquio col Buddha nell’India moderna 1024 682 Sonia Sgarella

“Nessuno conferisce l’illuminazione; a nessuno essa appartiene. La piena realizzazione della propria natura è quello che i Buddha chiamano illuminazione.”

Sul come abbiano fatto a trasformare un luogo di pace e meditazione in un tipico delirio indiano, bisognerebbe chiederlo soltanto a loro, gli abitanti di Bodhgaya e a tutte le generazioni che li hanno preceduti.

Secondo la tradizione Bodhgaya sarebbe il luogo dove il principe Siddharta Gautama, dopo anni di invani tentativi, raggiunse finalmente l’illuminazione, il cosiddetto Nirvana, divenendo così il Buddha (letteralmente “il risvegliato”).

Probabilmente il grande maestro risorgerebbe oggi dalle ceneri se solo vedesse che cosa sono stati capaci di combinare i suoi beneamati devoti attorno a quello che costituisce la meta di pellegrinaggio più ambita per la comunità buddhista nel mondo – un po’ quello che per i musulmani rappresenta la Mecca o San Pietro per i cristiani cattolici.

Business, business e business, sacro o profano che sia ma pur sempre un commercio sfrenato legato alla fede che passa dai venditori ambulanti di fiori per le offerte, alle bancarelle di qualunque cianfrusaglia pseudo-tibetana, per arrivare fino alle più grandi congregazioni buddhiste che, se tutto il mondo è paese e le religioni un po’ si assomigliano, allora anche lì chissà che cosa c’è dietro…

Pensate che, per un momento, camminando tra le strade di Bodhgaya alla scoperta dei vari monasteri che ospitano le tante comunità di monaci, mi è sembrato di ritornare all’Expo: i templi di Bodhgaya come i padiglioni milanesi sono infatti ognuno costruito nello stile architettonico del paese committente che qui trova una sua rappresentanza. Tibet, Giappone, Thailandia, Bhutan, Cambogia, Nepal…vi sono davvero tutti!

Bodhgaya - Bhutanese Temple

Bhutanese Temple

Japanese Temple

Japanese Temple

Karma Kagyu Gompa

Karma Kagyu Gompa

Thai Temple

Thai Temple

A sconvolgere l’atmosfera di pace che uno si aspetterebbe inoltre è il traffico di Bodhgaya, forse uno tra i più isterici incontrati in India: clacson che bucano i timpani, macchine, autorikshaw, moto e biciclette ma soprattutto decine  e decine di pullman turistici che ogni giorno riversano centinaia di pellegrini all’interno del complesso templare conosciuto con il nome di Mahabodhi Temple, dove si trova il famoso albero della Bodhi sotto il quale il Siddharta raggiunse l’illuminazione.

Le leggende che ruotano attorno a questo albero sono diverse ma la più condivisa vorrebbe  che quello presente altro non sia che il nipote dell’albero originale, del quale un ramoscello venne portato in Sri Lanka dalla figlia di Ashoka – il grande imperatore Maurya che regnò in India nel corso del III secolo a.c. Vuole la tradizione che, da Anuradhapura, un secondo ramoscello venne riportato a Bodhgaya dove diede vita all’enorme pianta che ancora oggi sopravvive all’interno del recinto sacro, regalando la sua ombra a decine di monaci e meditanti che qua sotto provano a intraprendere la stessa strada del loro maestro.

Meno male che, nonostante la delirante situazione circostante e le apparenze, all’interno dei vari templi – incluso ovviamente il Mahabodhi – si respira ancora quell’aria di pace che dovrebbe di regola appartenere a questi luoghi. Entrati nelle varie sale di preghiera o varcato il cancello di questo importantissimo santuario, si viene infatti immediatamente trasportati in un’atmosfera surreale, piena di pace e spiritualità.

Interno del Bhutanese Temple

Interno del Bhutanese Temple

Una torre alta 55 metri visibile da tutto il circondario è quella che sovrasta la cella contenete l’immagine dorata del Buddha oggetto di venerazione e costituisce uno dei più antichi esempi di arte templare buddhista costruito interamente in mattoni, risalente alla tarda epoca Gupta (V-VI secolo d.c.).

Bodhgaya - Mahabodhi Temple

Centinaia di monaci e monache buddhisti vestiti delle più svariate tonalità di ocra, arancione, rosso o marrone – a seconda del paese di provenienza e della scuola di appartenenza – nonché pellegrini di ancor più nazionalità e credo ma anche visitatori occasionali, sono tutti immersi nell’atmosfera eterna che circonda questo luogo: chi assorto in meditazione o intento a recitare una serie infinita di mantra, chi impegnato a leggere le scritture sacre o a prostrarsi innumerevoli volte su degli speciali tappeti per la preghiera; chi ancora cammina veloce lungo qualunque perimetro possibile, sempre in senso orario, snocciolando il rosario o facendo girare le ruote della preghiera. Non importa in che modo si voglia esprimere la propria devozione: tutti hanno la mente rivolta verso gli insegnamenti di quel grande maestro, vissuto oltre 2500 anni fa e che proprio qui formulò la sua filosofia di vita, oggi seguita da milioni di fedeli.

Bodhgaya - Mahabodhi Temple Bodhgaya - Mahabodhi Temple

Cominciate a camminare seguendo il flusso e in men che non si dica vi ritroverete anche voi rapiti da questo luogo leggendario, nella cui aria riecheggiano in continuazione i versi cantilenatati dai monaci e ripetuti dai pellegrini. Pellegrini che, come vi dicevo appartengono anche a fedi diverse e tra tutte, in primis, quella induista. Secondo la tradizione, il Buddha infatti altro non sarebbe che uno dei dieci avatara del grande dio Vishnu e per questo venerato come l’ennesima divinità appartenente all’infinito phanteon.

Si potrebbe stare seduti per ore semplicemente ad osservare quello che vi succede intorno. Prendetevi dunque tutto il tempo che volete, liberate la mente e lasciatevi travolgere dall’energia di questo luogo incantato il quale vi mancherà non appena avrete varcato il cancello d’uscita. Ritornateci più volte, approfittatene finché siete in zona e soprattutto cercate di visitarlo in diversi momenti della giornata tra cui l’ora del tramonto quando i canti dei monaci e dei pellegrini si confonderanno con quelli di centinaia di uccelli. Alla sera poi il complesso templare si illumina di mille lucine colorate per cui uno spettacolo che non vorreste perdervi!

Bodhgaya - Mahabodhi Temple

Bodhgaya - Mahabodhi Temple

L’ingresso al tempio, aperto dalle 4 del mattino alle 9 di sera, è gratuito. Non è permesso portare con sé il cellulare per cui lasciatelo in camera o presso il deposito ufficiale. Le macchine fotografiche invece possono essere utilizzate solo dietro pagamento di un permesso dal valore di 100 rupie che vi verrà controllato in entrata.

Tutto insomma, anche nelle vicinanze di Bodhgaya ruota intorno alla vita del Buddha e tra i vari luoghi che lo ricordano uno in particolare vale la pena di essere visitato: Mahakala Cave, il luogo in cui per diversi anni il futuro Buddha praticò la mortificazione del corpo come tentativo per raggiungere il Nirvana. All’interno di una grotta buia, la statua di Siddharta lo raffigura quindi in pelle o ossa, un’immagine tipica che si riferisce a questo periodo della sua vita.

Mahakala Cave Mahakala Cave

Il nome Mahakala tuttavia suggerisce che la grotta sia anche dedicata ad un altro personaggio della fede induista, la grande dea Kali: all’interno della stessa grotta infatti la statua del Buddha e quella di Kali si contendono l’appartenenza e per questo motivo all’esterno, prima della scalinata, troverete un cartello che suggerisce ai devoti buddhisti di non offrire nulla all’interno della grotta (sottinteso ai bramini che siedono accanto a Kali) bensì di rivolgersi ai monaci custodi del piccolo monastero che sorge nello stesso luogo.

Per raggiungere la grotta, che si trova a una dozzina di chilometri da Bodhgaya, dovrete prendere un tuk tuk. Il costo più onesto per andata, ritorno e attesa è di 500 rupie.

Insomma, Bodhgaya certamente vale la pena di essere visitata e diciamocelo… nonostante l’evoluzione dei tempi l’abbia portata ad essere un po’ troppo caotica, chi fosse intenzionato a raggiungere l’illuminazione, sarebbe ancor più bravo se riuscisse a farlo in mezzo al traffico!

Gujarat e Unesco: le rovine archeologiche di Champaner

Gujarat e Unesco: le rovine archeologiche di Champaner 1024 682 Sonia Sgarella

Una collina vulcanica di circa 800 metri che si innalza solitaria nel bel mezzo di una campagna polverosa e sconfinata; un’antica cittadella islamica costellata di raffinate moschee e monumenti funerari,per secoli dimenticata: sono questi gli splendidi siti conosciuti localmente con il nome di Pavagadh e Champaner, entrambi meritatamente e a ragion dovuta inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dall’Unesco.

Vi riporto di nuovo nello stato del Gujarat, a circa un’ora e mezza dall’attivo centro abitato di Baroda (Vadodara) che pur non presentando nessuna attrattiva particolarmente interessante, costituirà quasi necessariamente la vostra base di partenza, se non altro per la vasta offerta di sistemazioni.

Per la visita di Pavagadh e Champaner considerate di impiegare un’intera giornata per cui recatevi in mattinata nella sorprendentemente moderna stazione degli autobus – dove già il giorno prima avrete chiesto conferma degli orari – e salite sul primo autobus in partenza diretto nella zona del parco archeologico. Il tragitto – non chiedetemene il motivo – avrà un costo di 35 rupie per l’andata e 50 per il ritorno.

Una volta arrivati a destinazione, uscendo dal bus stand locale, svoltate a destra e continuate lungo la strada principale in direzione della Jami Masjid, la “Grande Moschea”. La troverete dritta davanti a voi, all’altezza di una grande curva. Guardatela ma non entrateci ancora. Prendete piuttosto prima il sentiero di campagna che si dirama immediatamente alla sua sinistra e mentre godrete di una spettacolare prospettiva della collina di Pavagadh, fate tappa alla Kevda Masjid.

Immersa in un pacifico e silenzioso ambiente rurale e praticamente dimenticata dal turismo locale di pellegrini in visita alla collina, poco interessati ai vicini edifici storici, questa prima magnifica moschea con annesso cenotafio, è il luogo perfetto da dove cominciare la vostra esplorazione e, nella solitudine più assoluta, iniziare ad immergervi nella storia di questi luoghi incantati.

Champaner

Champaner, fondata nell’VIII secolo dal più prominente dei sovrani della dinastia Chavda – lo stesso che fondò la città di Patan, passata poi nelle mani della dinastia Solanki – e successivamente governata dal gruppo Rajput dei Chauhan, raggiunse il suo massimo splendore solo quando, nel 1484, Mahmud Begda, dopo 20 lunghissimi mesi d’assedio, ne fece la capitale del suo regno, il nuovo Sultanato del Gujarat.

Leggi anche: Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana

Purtroppo Muhammadabad – così venne rinominata sotto il suo governo – non ebbe lunga vita: troppo presto, dopo solo 23 anni di regno, venne infatti rimpiazzata nel suo ruolo da Ahmedabad. Il destino di Champaner era quindi ormai già segnato quando Humayun, l’imperatore Mughal, la saccheggiò di tutto quello che era rimasto lasciando che questa antica meraviglia cadesse in rovina per sempre.

La Kevda Masjid, che venne dunque costruita durante il regno di Mahmud Begda (1458-1551 d.c.) , rappresenta ancora oggi una perfetta sintesi di architettura indo-islamica, ricca di squisiti disegni geometrici e floreali che vennero presi a modello in altri esempi  architettonici dello stesso genere. Al tempo della sua costruzione la moschea era dotata di tre cupole a sovrastare la grande sala della preghiera ma purtroppo quella centrale ha subito un crollo ed è oggi mancante.

Champaner - Kevda Masjid

Champaner - Kevda Masjid

Champaner - Kevda Masjid

Ritornate ora sul sentiero di campagna da cui siete arrivati e girando intorno alla Kevda Masjid, in altri dieci minuti di cammino, raggiungerete la Nagina Masjid dove, questa volta a farla da padrone, più che la moschea, è il vicino cenotafio le cui facciate, colonne e nicchie sono di nuovo meravigliosamente decorate con motivi floreali e geometrici.

Champaner - Nagina Masjid Champaner - Nagina Masjid Champaner - Nagina Masjid

Se vi siete quindi goduti abbastanza la pace di questi primi due luoghi, siete ora pronti a fare ritorno verso la Jami Masjid, la moschea più imponente dell’area archeologica. Situata al di fuori di quello che rimane delle antiche mura di fortificazione della cittadella, la “Grande Moschea”, si classifica a livello architettonico come una delle più raffinate di tutto lo stato del Gujarat. Personalmente non mi sono trovata d’accordo con questo giudizio. Sarà per l’atmosfera silenziosa e d’incanto che le circondava ma ho trovato, nonostante le dimensioni meno imponenti, molto più suggestive la Kevda e la Nagina Masjid per le quali  oltretutto non viene richiesto neanche il biglietto d’accesso.

Essendo l’area di Champaner protetta dall’Unesco, il costo dell’entrata che viene venduto all’ingresso della Jami Masjid ammonta infatti a ben 250 rupie. Il biglietto cumulativo sarebbe teoricamente valido per tutti i monumenti del parco archeologico ma viene controllato solo in questa occasione e presso la Shaher ki Masjid, anch’essa visibilissima dall’esterno. Detto sinceramente, dovessi tornare indietro, mi limiterei a guardare la Jami Masjid da fuori, senza entrare, considerato anche il fatto che, pur trattandosi di monumento archeologico, l’accesso alla sala delle preghiere non è consentito alle donne!

Champaner - Jami Masjid

Champaner - Jami Masjid

Champaner - Jami Masjid

Terminate quindi il percorso esplorando le rovine della cittadella e le stradine del villaggio che si è sviluppato al suo interno, il tutto fino a raggiungere la Shaher ki Masjid, la moschea che venne architettata per l’utilizzo della famiglia reale e dei nobili del Sultanato del Gujarat.

Champaner - Shahar ki Masjid

Per quanto riguarda il tempio sulla collina di Pavagadh, io purtroppo non ho avuto tempo di visitarlo per via di un autobus notturno già prenotato e in partenza il giorno stesso. Dalle rovine di Champaner comunque sono in partenza delle shared jeep  che vi porteranno fino all’accesso dell’ovovia la quale vi permetterà di raggiungere facilmente – evitandovi due ore di cammino – il tempio posto sulla sua sommità e dedicato a Kalikamata, ovvero alla Dea Kali. Risalente al X-XI secolo, trattasi di uno dei più antichi della zona, meta di pellegrinaggio da ancora prima che venisse fondata la città di Champaner. In una giornata limpida la vista dall’alto dev’essere incredibile!

Havelock Island: tutto quello che c’è da sapere

Havelock Island: tutto quello che c’è da sapere 1024 681 Sonia Sgarella

Ed ecco che a un certo punto del mio viaggio in India, dopo un mese passato a respirare la polvere delle città e dei villaggi sul continente, sono arrivata finalmente in paradiso e chi l’avrebbe mai detto! Ricoperta da un’incantevole e rigenerante foresta tropicale, contornata da meravigliose spiagge di finissima sabbia bianca e circondata dalle mille sfumature di un mare incredibilmente cristallino, l’isola di Havelock è un paradiso che in India difficilmente si incontra.

Havelock - Beach Number 7

Intendiamoci, l’India non manca certo di bellezze naturali: penso alla sontuosità delle vette himalayane, al deserto di sale del Gujarat, alle dune di sabbia del Rajasthan, agli sconfinati paesaggi del Deccan delimitati dalle sinuose catene dei Ghat Occidentali e Orientali, paesaggi solcati da maestosi fiumi sacri, le Backwaters del Kerala, le infinite distese di tè nei dintorni di Munnar, il paesaggio surreale in cui sorge la magnifica Hampi; insomma, le meraviglie sono infinite ma quando si tratta di spiagge e di mare, l’India non è certo al primo posto tra le mete balneari nel mondo, vuoi per via della cultura conservatrice che non ne prevede lo sfruttamento alla maniera occidentale, vuoi per l’inquinamento diffuso che spesso e volentieri le vede usate come discariche a cielo aperto.

Havelock è un paradiso anche in questo senso, salvaguardata da un’amministrazione cosciente del problema ambientale e tutelata nel quotidiano da una popolazione ben educata al rispetto del territorio in cui vive. Questo non significa che l’isola venga lasciata totalmente intonsa ma la percentuale di sporcizia è certamente ridotta al minimo e, in maniera proporzionalmente diretta, la presenza dei cestini per i rifiuti, soprattutto in prossimità delle spiagge, portata alla massima diffusione.

Havelock Island

Detto questo vi racconto un po’ dell’isola, delle sue spiagge, del cosa fare, dove stare e di come raggiungerla, così che la possiate inserire, se lo ritenete valido, nella lista delle mete tropicali dove riprendervi dal delirio indiano nel caso in cui abbiate intenzione di viaggiare da queste parti oppure semplicemente come unica meta di un vostro passaggio in oriente dove, volendo, potrete spenderci anche 15 giorni.

  • POSIZIONE GEOGRAFICA

Situata nel Golfo del Bengala, geograficamente più vicina alle coste del Myanmar e della Thailandia che non a quelle dell’India, l’Isola di Havelock, la più grande dell’arcipelago di Ritchie, fa parte di quel gruppo più esteso di piccoli gioielli conosciuto sotto il nome di Isole Andamane le quali, insieme alle Nicobare, costituiscono uno dei 7 Territori dell’Unione della Repubblica indiana e lo stato più remoto della nazione. L’Isola di Havelock si trova circa 57 km a nord-est di Port Blair, il capoluogo del Territorio situato sull’Isola di South Andaman e punto obbligatorio di partenza per la visita dell’arcipelago.

  • COME RAGGIUNGERE HAVELOCK

Proprio perché parte dell’India le Isole Andamane possono essere raggiunte solo dalle coste della propria nazione, nello specifico dagli aeroporti di Chennai (Madras) e Kolkata (Calcutta) oppure – ma il viaggio di 3-5 giorni deve essere estenuante – dai porti di Chennai, Kolkata e Vishakapatnam, nello stato dell’Andhra Pradesh. Il viaggio in aereo, con destino a Port Blair, ha una durata di circa 2 ore ed è oggi operato da diverse compagnie locali tra cui Jetairways, Spicejet, Go Air ed Air India ad un costo che può variare a seconda della stagione ma generalmente compreso tra i 170 e i 200 euro a/r.

Per accedere alle isole è sufficiente il visto turistico indiano. All’arrivo a Port Blair vi verrà rilasciato un permesso governativo che consente un soggiorno massimo di 45 giorni e che vi verrà richiesto ogni qual volta effettuerete il check-in in guest house o prenoterete un passaggio marittimo. Conservatelo con cura e, meglio ancora, fatene almeno una copia perché è probabile che, prima o dopo, vi verrà richiesta.

Una volta raggiunta Port Blair sarà necessario prenotarsi su una nave diretta ad Havelock, in partenza dal Phoenix Jetty. Le compagnie che offrono il servizio al momento sono tre: quella governativa e due compagnie private, la Green Ocean e la Makruzz. La differenza di prezzo tra il servizio governativo e quelli privati è ovviamente considerevole (si parla del doppio ma pur sempre di cifre irrisorie se tradotte in euro) ma è ovvio che una volta arrivati a Port Blair dovrete decidere soprattutto in base alla disponibilità e agli orari di partenza.

I traghetti governativi che impiegano 2,5 ore se veloci (speed) o 4 ore se lenti (slow), possono essere prenotati individualmente solo con 4 giorni di anticipo. Gli orari dei battelli per/da Havelock Island variano in base alla stagione per cui vi conviene chiedere informazioni a riguardo direttamente sul posto. L’ultimo comunque è alle 14. Il costo si aggira attorno alle 400 rupie per il posto a sedere e i biglietti devono essere prenotati negli uffici presso i Jetty di entrambe le isole.

Fate attenzione a non temporeggiare troppo nell’acquisto del biglietto di ritorno perché, nonostante la regola dei quattro giorni, alcune agenzie private o resort che hanno la possibilità di prenotare il passaggio con largo anticipo ne acquistano in quantità e, soprattutto in alta stagione, il rischio di non trovare più posto – e di conseguenza di perdere il volo di rientro – è molto alto. Credetemi, ve lo dico per esperienza! Il discorso vale ovviamente anche per le compagnie private le quali però permettono la prenotazione con largo anticipo, che quindi vi suggerisco caldamente.

Makruzz e Green Ocean impiegano rispettivamente circa 1 ora e mezza e 2 ore e un quarto per coprire il tragitto tra le isole e offrono differenti classi di prenotazione, la più economica avendo un costo rispettivo di 975 e 900 rupie. Makruzz parte da Port Blair alle 8 del mattino e alle 13.30 per fare rientro alle 10 (via Neil) e alle 15.30. Green Ocean offre invece solo 2 servizi al giorno, partendo da Port Blair alle 6.45 e rientrando alle ore 15.

Qualora aveste un volo nel pomeriggio e voleste fermarvi sull’isola fino all’ultimo recandovi direttamente all’aeroporto, sappiate che l’unica compagnia che copre la tratta Havelock- Port Blair al mattino, intorno alle 9, è quella governativa, ma come vi dicevo, dover aspettare i quattro giorni di anticipo rispetto alla data del volo potrebbe non essere sufficiente per garantirvi un posto a sedere. Esiste anche la possibilità di recarvi all’ufficio prenotazioni il giorno stesso (corsia di sinistra) e di sperare in un posto in piedi. Anche in questo caso, dopo aver fatto a gomitate per raggiungere lo sportello, potreste ricevere brutte notizie.

  • DOVE ALLOGGIARE

Havelock Island, tra le isole, è la più sviluppata dal punto di vista turistico per cui l’offerta ricettiva non costituirà di certo un problema. Io mi limiterò a dirvi in quale struttura sono stata e i motivi per cui ho trovato la posizione ottimale. (vedi mappa)

La maggior parte delle strutture economiche e dei ristoranti si trovano allineati lungo la spiaggia n. 5 e seguendo la strada che dal “market” porta fino al villaggio di Kalapathar. L’offerta varia da costruzioni in muratura ai più pittoreschi “huts” ovvero capanne di bambù le quali possono essere con o senza bagno. Coconut Groove è stato il mio rifugio per tutta la durata del soggiorno (costo della capanna con bagno 800 rupie a notte). Nonostante, a differenza di quanto dice il cartello all’ingresso, la struttura non abbia un vero e proprio ristorante, lì nei dintorni – raggiungibili a piedi – ne troverete di ogni tipo e tra questi vi consiglio Rony Restrurent – che si merita il primo posto solo per la parola Restrurent 🙂 – e il Full Moon Cafè.

Havelock Island

Accanto a Coconut Groove, oltre il resort che si trova alla sua destra, troverete inoltre l’Ocean Tree, l’unico ristorante sull’isola ad offrire connessione internet gratuita a chiunque si fermi anche solo per un drink. Sull’isola scordatevi della ricezione telefonica – l’unica compagnia indiana che funziona è BNSL – e sappiate che se vorrete connettervi con wifi i costi partono dalle 60 rupie ogni mezz’ora.

Nel caso in cui doveste o voleste pernottare a Port Blair vi consiglio Lalaji Guest House soprattutto per il Rooftop Restaurant con vista.

  • COME SPOSTARSI

Su tutta l’isola vi è un’ampia offerta di scooter e biciclette a noleggio i cui costi si aggirano intorno alle 250/350 rupie al giorno per i primi e 100 rupie per le seconde. L’alternativa più economica è quella di spostarvi con i pullman pubblici che rendono servizio tra il Jetty e Radhnagar Beach (spiaggia n.7) e il Jetty e Kalapathar Beach, entrambi passando per la zona del market che si trova all’incrocio tra le due arterie principali che attraversano l’isola. La frequenza degli autobus è di circa uno ogni ora per Radhnagar (l’ultimo parte dalla spiaggia alle 18) mentre si riduce a sole due corse al giorno – che coincidono con gli orari scolastici – per Kalapathar. Chiedete comunque sempre conferma degli orari e fate conto di dover aspettare lo stesso. Il biglietto singolo ha un costo di 10 rupie su tutte le tratte. I costi dei rickshaw sono invece abbastanza alti. Da Coconut Groove al market la tariffa fissa è di 50 rupie, per Kalapathar di 200 mentre per Radhnagar addirittura 300.

  • COSA FARE

Se siete amanti dello snorkeling o appassionati di diving questo è uno dei posti che fa per voi. Le possibilità sono diverse, l’isola è piena di centri che offrono corsi per l’ottenimento del brevetto PADI e uscite in barca; i costi variano di poco aggirandosi intorno alle 2000 sia per il diving che per lo snorkeling, a seconda del numero di persone. Nel caso non aveste con voi maschera e boccaglio li potrete comprare direttamente in loco e dirigervi per conto vostro verso le spiagge che più si prestano, tra cui la migliore Elephant Beach. Le agenzie di viaggio inoltre organizzano tour in kayak tra le mangrovie al costo di 2500 rupie per persona. Ciò non toglie che potrete decidere anche di saltare tutte queste attività e passare le vostre giornate in spiaggia, nell’ozio più totale.

  • LE SPIAGGE PIU’ BELLE

Prima di elencarvi le spiagge dove potrete passare le vostre giornate è necessario che vi dica un paio di cose: innanzitutto l’aspetto dell’isola varia molto a seconda della marea che è alta al mattino e si abbassa notevolmente da mezzogiorno in poi facendo emergere le rocce coralline che si trovano in prossimità delle spiagge. E’ meglio dunque che vi rechiate al mare in mattinata per godere al massimo della sua bellezza. Le giornate sono abbastanza brevi: data la posizione geografica molto spostata ad est ma il mantenimento dello stesso fuso orario indiano, il sole sorge infatti verso le 5.45 per tramontare verso le 17.30. Altra cosa importante è capire bene la differenza tra quello che cerca il turista indiano e quello che cerca invece il turista straniero: mentre i primi infatti non sanno stare da soli, sono abituati alle folle, non hanno spirito di esplorazione e amano i giochi acquatici, i secondi sono più propensi alla tranquillità scegliendo i luoghi appartati come meta prediletta. Detto questo troverete che solo zone circoscritte delle spiagge saranno affollate dal turismo domestico mentre il resto risulterà fondamentalmente deserto.

Havelock Island - Beach Number 7

– Radhnagar Beach, meglio conosciuta come Beach Number 7 è indubbiamente la migliore dell’isola: un’infinita distesa di sabbia bianchissima bagnata da uno stupendo mare calmo e cristallino. Qui non vi sono rocce coralline per cui fare il bagno è estremamente piacevole ma non adatto allo snorkeling. L’unica pecca della spiaggia è che non si trova ombra. Mentre in prossimità dell’ingresso si concentrano le famiglie di indiani in vacanza – che fanno il bagno rigorosamente vestiti – il resto della spiaggia sarà tutto a vostra disposizione.

Havelock Island - Beach Number 7

– Neil’s Cove: se dall’ingresso alla Beach Number 7 prendete il sentiero nella foresta che si estende verso destra, con una quindicina di minuti di cammino raggiungerete questa magnifica baia contornata da un’altrettanto splendida vegetazione che dà luogo a molti spazi di ombra. La baia si presta benissimo anche per lo snorkeling vista la presenza di un’ampia sezione di barriera corallina. In assoluto questa è stata la spiaggia che più mi ha incantato.

Havelock Island - Neil's Cove

Nei pressi della Beach Number 7 troverete diversi chioschetti dove pranzare, cocco a volontà e gentili signore che vi offriranno macedonie di frutta fresca.

-Elephant Beach: per raggiungere questa spiaggia dovrete prendere lo stesso autobus – a meno che non abbiate noleggiato un mezzo proprio – che dal market è diretto a Radhnagar Beach e scendere in prossimità del cartello che dice “Direction to Elephan Beach”. Da qui un sentiero attraverso la giungla di circa mezz’ora vi condurrà direttamente in spiaggia dove rimarrete sorpresi dalla folla di indiani intenti a sfruttare ogni tipo di gioco acquatico. Non preoccupatevi…come vi dicevo prima, gli indiani si concentrano tutti in una determinata zona mentre il resto della spiaggia risulta praticamente deserto. Continuate a camminare verso sinistra e, superate le magnifiche reliquie di giganteschi alberi morti adagiati sulla sabbia, troverete di certo lo spazio che fa per voi. Soprattutto qui, il cambio della marea vi darà una percezione completamente diversa del luogo per cui cercate di arrivare massimo verso le 10.

Havelock Island - Elephant Beach

– Kalapathar Beach: alla fine della strada che dal market si estende verso sud si trova questa spiaggia amata dalle coppie di indiani in viaggio di nozze che qui si scattano tutte le foto di coppia del caso. Il mare è più mosso che altrove e anche di un colore più intenso per cui non adatto allo snorkeling né particolarmente consigliato per fare il bagno. La spiaggia merita comunque una breve visita.

Havelock Island - Kalapathar Beach

– Beach Number 5: la più vicina alla maggior parte delle strutture turistiche e che soffre molto del cambiamento di marea la quale, oltre a un po’ di sporcizia, porta in spiaggia anche parecchie alghe. Il punto migliore, dove la spiaggia è più ampia e il mare libero da rocce coralline, è quello che si trova proprio in prossimità del mitico Rony Restrurent.

Havelock Island - Beach Number 5

 Bene, penso di avervi detto tutto! Enjoy Havelock! 🙂

Viaggio in Gujarat: la collina dei mille templi

Viaggio in Gujarat: la collina dei mille templi 1024 682 Sonia Sgarella

Oltre 3000 gradini da risalire sul versante di una ripida collina sacra possono suonare come un’impresa difficile, se non motivati da una forte devozione, ma quando sai che sulla cima di quella collina, la più sacra del Gujarat, ti aspetta uno spettacolo da togliere il fiato, tutte le esitazioni scompaiono e non dubiti un’attimo a metterti in cammino, con l’entusiasmo di chi si accinge, per la prima o per l’ennesima volta, a sfidare i propri limiti.

La collina dei mille templi è uno di quei luoghi che non si possono e non si devono tralasciare durante un viaggio in Gujarat: deve essere scalata, conquistata, assaporata ad ogni gradino e vissuta come un pellegrino, con il cuore disposto a comprendere il perché di tanta fatica, il perché di tanta devozione.

C’è sempre un non so che di mistico che circonda questi luoghi, un’aura di mistero che li ricopre, qualcosa con cui purtroppo noi, menti pragmatiche occidentali, raramente riusciamo ad entrare in contatto. Ma almeno ci proviamo. Abbiamo gli occhi per guardare, la mente e il cuore per riflettere e ci proviamo.

Shatrunjaya

Di questi luoghi, più che costatane lo stato presente che anche in India, purtroppo, tende sempre più verso una malsana mercificazione della fede, mi piace immaginarne il passato, l’origine storica, pensare ai motivi che diedero impulso alla fondazione di santuari del genere, a quante persone prima di me ne hanno calpestato i sentieri perdendosi, ad ogni passo, nell’infinito orizzonte di paesaggi mozzafiato; ma soprattutto mi piace provare a capire come un’antica e pura devozione possa essere riuscita in un’impresa così grandiosa.

Shatrunjaya

La collina di Shatrunjaya è uno dei luoghi di pellegrinaggio più sacri per la fede jainista. Si racconta che, proprio qui, sulla cima di questo monte, Adinath, il fondatore della fede, meditò e recitò il suo primo sermone. Un altopiano dedicato agli dei e ai maestri passati, un’incredibile distesa di templi costruiti nel corso di secoli e che costituiscono oggi meta di pellegrinaggio per migliaia e migliaia di pellegrini.

Shatrunjaya

3300 gradini non sono pochi ma non si tratta neanche della scalata dell’Everest, penserete voi. Per molti devoti tuttavia il percorso comincia molto più lontano: ne ho visti alcuni camminare imperterriti da chilometri e chilometri di distanza, su strade principali, rigorosamente vestiti di bianco come vuole la tradizione e addirittura spingendo le sedie a rotelle dei più anziani…questa si che è devozione! Oppure trattasi di pura follia?

Shatrunjaya

Come era il caso dei pellegrini che incontrai durante un bellissimo viaggio in Sri Lanka risalendo le pendici di Adam’s Peak, auguro a tutte queste persone che i loro sforzi non siano invano e che davvero lassù esista qualcuno pronto a graziarli con ciò di cui vanno in cerca…glielo auguro con tutto il cuore!

Leggi anche: Adam’s Peak: la notte di un pellegrino.

La salita alla collina di Shatrunjaya può essere effettuata in circa un’ora e mezza. Consigliano di cominciare al mattino presto quando l’aria è più fresca…io l’ho fatto alle 2 del pomeriggio e sono ancora viva! Certo tutto dipende dalla stagione ma vedete voi in base ai vostri orari e spostamenti. Comprate l’acqua prima di incominciare il cammino.

Shatrunjaya

I templi sulla cima sono uno spettacolo e se volete regalarvi una vista indimenticabile, non appena il sentiero si biforca, smettete di seguire i pellegrini diretti verso l’ingresso principale e prendete la scalinata di destra: il panorama da qui è davvero sorprendente! Entrate quindi nel sito e perdetevi tra i templi fino a raggiungere il principale, dedicato ad Adinath e situato nel punto più alto della colina. Prendetevi il vostro tempo per assistere ai rituali dei devoti e quindi riscendete.

Shatrunjaya

Shatrunjaya

Shatrunjaya

Lo potete fare di corsa, come fa la maggior parte dei visitatori, oppure con calma: sappiate che nell’una o nell’altra maniera, se non siete abbastanza allenati, vi faranno male i polpacci per una settimana tanto che salire o scendere anche solo due gradini sarà l’impresa più faticosa delle vostre giornate a venire!

Siccome comunque gli indiani sono evidentemente spesso più pigri che rigorosi devoti e certamente poco allenati, durante tutto il percorso vi verrà offerto aiuto a pagamento per la salita, in termini di portantine a due, a quattro uomini, oppure in termini di “support”, ovvero di gentili signore che saranno pronte a spingervi da dietro o a sostenervi di fianco, come foste feriti di guerra. Forse la cosa più divertente sarà per voi ammirare le pantomime degli indiani affaticati, quasi stessero sull’orlo del collasso. La cosa esilarante è che sono sempre i più giovani a recitare questa parte piuttosto che gli anziani, i quali li vedrete sgambettare a destra e a manca senza fare troppe storie. E’ proprio vero che i tempi sono cambiati!

Shatrunjaya Shatrunjaya

Le foto all’interno del sito e agli esterni dei templi sono possibili solo dietro l’acquisto di un permesso dal costo di 50 rupie che viene rilasciato all’ingresso principale ma comunque sono proibite all’interno dell’Adinath Temple. Prendere la scalinata di destra come vi ho consigliato è l’unico modo per scattare delle ottime panoramiche all’intero complesso ed è molto probabile che sarete da soli a contemplare in silenzio quest’ennesima meraviglia dell’India!

Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana

Viaggio in Gujarat: lo splendore dell’arte Solanki nei dintorni di Mehsana 1024 682 Sonia Sgarella

Che il Gujarat fosse una terra ricca di tesori da scoprire certo lo immaginavo ma d’altra parte così è tutta l’India; che fosse invece una terra estremamente varia, per topografia e per cultura, davvero non me lo aspettavo e l’ho costatato soltanto ora, strada facendo. Eppure riflettendoci un pochino il fatto dovrebbe essere abbastanza chiaro in partenza, basti guardare alla sua posizione geografica, all’estremità più occidentale del paese, riscaldato a nord dai deserti di Pakistan e Rajasthan e rinfrescato a sud dalle brezze marine del Mare Arabico, rotte da cui sono giunti i popoli che ne hanno, chi prima e chi dopo, influenzato e arricchito la cultura, per ragioni di commercio o con scopi politici.

Forse alcuni di voi avranno sentito parlare del Gujarat come la terra del Mahatma Gandhi – egli nacque infatti a Porbandar e lavorò per molti anni ad Ahmedabad, luogo dove diede vita al movimento di protesta non violenta e da dove partì per intraprendere la celeberrima “marcia del sale” – ma il Gujarat è anche e soprattutto la patria di migliaia di hindu, jainisti, musulmani e cristiani nonché di popolazioni tribali e gruppi nomadi, insomma di un ricchissimo assortimento di culture e di credo religiosi che lo rendono uno degli stati più variegati dell’India, un incredibile mosaico di meraviglie naturali, monumentali e umane.

La storia del Gujarat ebbe inizio non meno di 4000 anni fa quando quel popolo di origine caucasica conosciuto con il nome di Civilità della Valle dell’Indo, si stabilì nell’odierna penisola del Saurashtra. Ad essi, che furono abili commercianti ben conosciuti fino in Occidente ma la cui attività non durò a lungo, si successero le dinastie più potenti della storia dell’India, i Maurya, guidati dal potente imperatore buddhista Ashoka, e i Gupta, nonché dinastie minori, quali i Satavahana e i Chalukya, in un alternarsi di fedi religiose.

Popoli stranieri, provenienti da diverse zone del subcontinente ebbero quindi sempre la meglio sulle famiglie locali imponendo il loro comando. Tutto questo fino a che, attorno al 950 d.c. e per oltre 300 anni, la dinastia Solanki, nativa della zona, riuscì a consolidare il proprio potere facendo di Anhilawada – l’odiern Patan – la capitale del suo regno, rendendola ai tempi una delle città più grandi dell’India, con una popolazione di circa 100.000 abitanti. Fu questo dunque il periodo d’oro del Gujarat che vide la fioritura di importanti città, di magnifici centri del culto e di un’architettura peculiare del territorio, associata alle figure dei più grandi regnanti di questa dinastia.

Oggi Patan risulta tutt’altro che una grande città se comparata con le moderne megalopoli della penisola e poche sono le vestigia che ci ricordano di quel passato glorioso. Tuttavia, è proprio qui che, ai margini del centro abitato, sopravvive ancora un gioiello prezioso della loro arte. Si tratta del Rani Ki Vav, il pozzo a gradini più antico  più bello del Gujarat!

Rani Ki Vava

Rani Ki Vav

Una sorta di solenne tempio capovolto, a sette livelli, sostenuto da colonne scolpite e meravigliosamente decorato con un programma scultoreo ispirato più che altro alla figura di Vishnu e alle sue manifestazioni terrene (avatar). Lo spettacolo che si presenterà davanti ai vostri occhi vi lascerà letteralmente a bocca aperta! Commissionato attorno al 1060 d.c. dalla regina Udayamati, il Rani Ki Vava (letteralmente il “pozzo della regina”) venne probabilmente da lei edificato in memoria del defunto marito Bhimdev I, figlio di Mularaja che fu il patriarca fondatore della dinastia.

Rani ki Vav Rani Ki Vav

Patan è facilmente raggiungibile da Mehsana – dove molto probabilmente starete alloggiando. Recatevi alla stazione degli autobus e salite sul primo pullman in partenza. In circa un’ora e mezza di viaggio ci sarete. Meglio sarebbe calcolare i tempi per riuscire ad entrare nel sito archeologico intorno alle 12 quando il sole più alto illumina perfettamente tutte le pareti del pozzo.

Sempre da Mehsana, dalla fermata dell’autobus che si trova all’inizio di Modhera Road, sarà poi ancora più immediato raggiungere l’altro capolavoro dell’arte Solanki, il meglio conosciuto con il nome di Sun Temple. Progettato in modo che il sole, in corrispondenza degli equinozi, colpisse direttamente con la sua luce l’immagine sacra contenuta all’interno del sancta sanctorum, il Tempio del Sole di Modhera è un esempio emblematico di maestria artistica, ornato da intricate sculture che illustrano episodi dei più grandi poemi epici, nonché immagini di divinità, demoni e manifestazioni del dio Surya mese per mese.

Sun Temple Sun Temple

Davanti al tempio si trova il Surya Kund, uno straordinario pozzo a gradini intervallati da 108 sacelli sacri, alcuni dei quali conservano ancora al loro interno le immagini delle divinità a cui sono dedicati.

Sun Temple Modhera

Il complesso templare, commissionato nel 1026 d.c. dal re Bhimdev I e consacrato al Dio Sole – da cui, secondo il mito, discenderebbe la dinastia Solanki – risulta quindi composto da tre elementi: la vasca sacra (Surya Kund), il Sabha Mandapa e il Guda Mandapa. Mentre il Sabha Mandapa è aperto su tutti i lati e sorretto da 52 colonne come le settimane che compongono l’anno solare, il Guda Mandapa o Sancta Sanctorum, si apre solo ad oriente come è il caso di tutti i templi indiani. La struttura si innalza partendo da una base che ha forma di fiore di loto rovesciato: simbolo solare, il fiore di loto si apre e si chiude infatti seguendo il ritmo del sole e mostrandosi in tutta la sua bellezza e purezza dall’alba al tramonto. 

Vi è poi un’altro luogo poco visitato dai turisti (forse perchè non menzionato nella Lonely Planet) ma che assolutamente vale la pena raggiungere: Taranga Hill, una delle tante colline sacre del Gujarat sulla cui cima svetta il tempio dedicato ad Ajinath, il secondo maestro della fede jainista. Entrambe le sette jainiste, Shvetambara e Digambara, trovano in questo luogo una meta di pellegrinaggio con santuari che fanno riferimento all’una o all’altra corrente di pensiero. Il tempio fu commissionato nel 1121 dal re Solanki Kumarpal il quale divenne devoto della fede jainista dietro gli insegnamenti del saggio Hemachandra considerato tanto un prodigio dai suoi contemporanei da riservagli l’appellativo di “onnisciente del Kali Yuga”.

Taranga Hill

Per raggiungere Taranga Hill da Mehsana dovrete recarvi di nuovo al City Bus Stand e chiedere l’orario di partenza dell’unico autobus diretto. Qualora fosse troppo presto per i vostri gusti o lo aveste perso, potrete comunque raggiungere la località facendo tappa a Vishnagar e, da lì, a Keralu dove troverete tutte le connessioni. Considerate un paio d’ore per raggiungerla. Arrivati ai piedi della collina ci saranno delle jeep addette al trasporto dei pellegrini. Il costo è di 100 rupie che potrete dividere con altri passeggeri o, in mancanza di questi, pagare per intero ed evitare lunghe attese. Per quanto riguarda il ritorno suppongo vi dobbiate di nuovo appostare sulla strada principale e aspettare il passaggio del primo autobus diretto in senso opposto. Non ve lo posso assicurare tuttavia perché io ho ricevuto un passaggio gratuito da un pazzo collezionista di francobolli e dalla moglie dottoressa 🙂

Mehsana (scritto anche Mahesana), situata circa 80 km a nord di Ahmedabad, può essere raggiunta tranquillamente con un autobus governativo al costo di 92 rupie. L’Hotel Janpath è un’ottima soluzione per il pernottamento: non fatevi ingannare dalle apparenze…con un paio di lenzuola fresche di bucato vi troverete benissimo! Al pian terreno, nel ristorante del Sig. Singh (non gliel’ho chiesto ma, essendo un Sikh, suppongo si chiami Singh 🙂 potrete degustare ottimi piatti senza dovere neanche attraversare la strada!

Charminar vista dal piazzale della moschea

Hyderabad: 5 buoni motivi per visitarla

Hyderabad: 5 buoni motivi per visitarla 2135 1584 Sonia Sgarella

Avete mai sentito parlare di Hyderabad? No, non mi riferisco a quella popolosa città del Pakistan che sorge sulle sponde del fiume Indo, nella provincia del Sindh, bensì ad una città ancor più popolosa dell’India, la settima metropoli indiana in ordine di grandezza, che oggi costituisce la capitale di ben due stati: Andhra Pradesh e Telangana, tra i meno esplorati della nazione.

La città, di forte stampo islamico – come si intende già dalla lettura del nome ( -abad è un suffisso di origine persiana che significa “città” e che in India definisce generalmente l’eredità di governi musulmani) – venne fondata nel 1589 dal sultano Muhammad Quli Qutb Shah, il quinto sultano della dinastia Qutb Shahi di Golkonda.

1- Forte di Golkonda

Comincio quindi subito con l’introdurvi al primo buon motivo per visitare Hyderabad e che sorge esattamente sul fianco della collina di Golkonda (Golla Konda = “collina del pastore”). Trattasi delle rovine di una fortezza immensa, fondata nel X secolo dalla dinastia hindu dei Kakatiya ma passata prontamente, già nel XIV secolo, nelle mani del Sultanato Bahmanide il quale dividendosi, nei primi anni del 1500, diede vita a cinque sultanati minori: Bijapur, Golconda, Ahmednagar, Bidar e Berar.

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L’ingresso al forte avviene dal lato est, tramite la porta Bala Hissar, che già esprime, nella sua splendida decorazione, la grandezza passata di questo luogo, un eccellente esempio di architettura militare, dotato di un altrettanto brillante sistema di allarme che permetteva ai suoni di diffondersi fino ad un chilometro di distanza, dall’ingresso alla cima della collina, da dove il sultano era solito contemplare orgoglioso il suo dominio.

Forte di Golkonda

Forte di Golkonda

Una terra ricca di vegetazione che nasconde nel sottosuolo un segreto ancor più prezioso: la ricchezza e la potenza delle dinastie che regnarono sulla zona si fondarono infatti in buona parte sul commercio di pietre preziose, specialmente di diamanti: il Koh-i-noor, il Regent, l’Hope o il Princie Diamond, per citarne solo alcuni tra i più famosi della storia, provenivano infatti dalle miniere di Golkonda che furono, fino alla scoperta di quelle brasiliane e sudafricane, in pratica le uniche al mondo.

2- Tombe dei Qutb Shahi

Situate a meno di 2 chilometri dal Forte di Golkonda, in un parco tranquillo e poco frequentato, sorgono le tombe di alcuni sultani della dinastia Qutb Shahi che regnò dal 1518 al 1687, prima da Golkonda e poi da Hyderabad. La più maestosa tra queste sepolture – ognuna costruita su una base rialzata, dotata di una grande cupola a bulbo, archi finemente scolpiti, iscrizioni e resti di brillanti decorazioni – è la tomba di Muhammad Quli Qutb Shah, quinto sultano della dinastia, poeta, intellettuale e fondatore di Hyderabad, indissolubilmente associato anche a una delle più celebri storie romantiche indiane per il profondo amore che, secondo la tradizione, lo legò tutta la vita alla moglie hindu Bhagmati.

Tomba del sultano Muhammad Qutb Shah

Tomba del sultano Muhammad Qutb Shah

Riflessi

Riflessi

3- Charminar

Grandiosa struttura a “quattro minareti” (charminar) costruita nel 1591 dallo stesso Muhammad Quli Qutb Shah che fondò la città. Conosciuto come il simbolo della capitale, sembra che questa originale versione di un arco di trionfo venne commissionata dal sovrano per commemorare la fine di un’epidemia di peste diffusasi nello stato. Alto circa 56 metri e a pianta quadrata, il Charminar si trova collocato all’incrocio di alcune importanti arterie commerciali: da non perdere il Laad Bazaar, un antico mercato, famoso per la produzione di bangles, coloratissimi bracciali tanto amati dalle donne indiane.

Charminar

Charminar

Vista dal Charminar

Vista dal Charminar

4- Mecca Masjid

La costruzione di questa moschea, una tra le più grandi dell’India, capace di ospitare al suo interno circa 10.000 fedeli, fu cominciata ai tempi di Muhammad Quli Qutb Shah ma venne terminata solo sotto il governo dell’imperatore Mughal Aurangzeb che conquistò la città nel 1687. Situata nei pressi immediati del Charminar, la moschea si affaccia su un vasto cortile rettangolare dove, all’interno di una lunga galleria, sono ospitate le tombe dei Nizam (“governatori del regno”) appartenenti alla dinastia degli Asaf Jah che governò sullo Stato di Hyderabad dal 1724 al 1948, subito dopo il declino del potere Mughal.

Moschea vista dal Charminar

Moschea vista dal Charminar

Mecca Masjid - Galleria delle tombe

Mecca Masjid – Galleria delle tombe dei Nizam

5- Chowmahalla Palace

Fu la residenza ufficiale dei Nizam di Hyderabad, costruito ispirandosi allo stile del Palazzo dello Shah di Tehran. Unico per eleganza, il palazzo venne costruito a partire dalla fine del XVIII secolo per essere terminato solo dopo la metà del secolo successivo. causando la sovrapposizione e l’accostamento di stili architettonici diversi.

Interno del Chowmallah Palace

Interno del Chowmallah Palace

 

 

Kerala style: se questa è l’India…

Kerala style: se questa è l’India… 1920 1296 Sonia Sgarella

Non c’è ombra di mucche sulla spiaggia, niente clacson, niente rumore, solo quello delle onde del mare. Dov’è finito il cibo piccante? E il coriandolo infestante? Dov’è finita la confusione? Che fine ha fatto la sana devozione?

Varkala Beach

Varkala Beach

Devo proprio dirvelo, è rimasto ben poco di tutto questo nel gettonatissimo stato del Kerala, nel sud dell’India. Per anni mi sono rifiutata di frequentare quella che, nel mio immaginario, corrispondeva all’idea di “India meno India”: le ex colonie di stampo occidentale, le patrie del cosiddetto circuito hippie, le località frequentate dal turismo di massa o da quello d’elite. Inconsciamente già sapevo che ne sarei rimasta probabilmente delusa, sconcertata, in alcuni casi addirittura disgustata…

Ebbene quest’anno, dopo averne sentito tanto parlare, ho pensato che fosse per me giunto il momento di andare a visitare questi luoghi, di passarli in rassegna uno ad uno, per potermene finalmente fare un’opinione.

Luoghi – devo ammetterlo – certamente piacevoli, alla portata di tutti, dove rilassarsi, dove incontrare altri viaggiatori, dove recuperare le forze con del cibo “continentale” dopo che il vostro stomaco vi ha fatto patire le pene dell’inferno; oasi di piacere dove, dopo infinite peregrinazioni forzatamente “alcool free”, potrete finalmente scolarvi quella benedetta birra gelata che state sognando da settimane; luoghi dove – e anche questo non lo nascondo – incontrerete panorami mozzafiato e albe o tramonti indimenticabili che da soli varranno il viaggio…

Tramonto a Varkala Beach

Tramonto a Varkala Beach

Alba sulle Backwaters

Alba sulle Backwaters

Tramonto sulle Backwaters

Tramonto sulle Backwaters

…tuttavia, mi chiedo io: che senso ha andare in India per rimanere segregati in dei mondi che con il resto del paese non hanno niente a che fare, dove tutto è nella norma, una norma banalmente occidentale? Partire da Goa, giungere a Varkala e poi a Kovalam passando da una houseboat sulle Backwaters del Kerala e sostenere di essere stati in India è un po’ come rinchiudersi in un villaggio turistico a Sharm el Sheik, fare un’escursione in cammello nel deserto e sostenere di aver visto l’Egitto. Un po’ riduttivo, non credete?

Se questa è l’India allora potrei dirvi che quel paese incredibile che io ho visitato per anni si trova altrove ma la verità è diversa: l’India è più di una e purtroppo o per fortuna anche questa lo è.

Né più né meno, l’India vera è quella da cui siamo maggiormente attratti… e da cui siamo disposti ad imparare qualcosa! 

Partite dunque, nessuno vi dice di saltare il Kerala. Anzi, non fatelo, ma ricordatevi che in India c’è molto di più da scoprire!

 

 

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